CADUTA NEL VUOTO

Sono sicura che anche tu, una volta nella vita, hai sentito quel fuoco dentro che ti da l’impressione di essere una persona diversa, divina, forte. La sua durata è breve ma l’effetto è indimenticabile.                                                                                                                                                  Le passioni scorrono nelle nostre vene e rimangono sempre vive in noi per tutta la nostra esistenza, proprio come le emozioni provate con i miei amati cavalli, ma a quell’età avevo solo 17 anni: mentre gli anni passavano, avevo voglia di provare nuove emozioni e così mi appassionai alla scalatura amatoriale su roccia.

Erano i primi anni ‘90  e, da una decina di anni, le pareti di falesia in Valsassina erano state chiodate in modo da permetterne un’arrampicata sicura. 

Facciamo una piccola e bella precisazione: le falesie sono pareti a picco, originate dalla lenta azione erosiva del mare, dove le variazioni del livello marino post glaciale hanno influenzato la loro formazione. Alla base di una falesia, si trova generalmente una piattaforma costiera, dovuta alla regressione della falesia in seguito all’erosione marina (Giuseppe Ganci).

Pasturo era una delle palestre in Valsassina per iniziare a provare il brivido dell’altezza e soprattutto per sfidare il corpo e la mente. Su questa struttura la chiodatura non è sempre vicina e, considerando lo stile di scalata, richiede a tratti un certo ingaggio, almeno sulle vie più impegnative. Il mio fidanzato di quel tempo, che poi sarebbe diventato mio marito e padre di Marta e Chiara, aveva lo stesso desiderio, così con un nostro caro amico esperto di scalate partimmo all’avventura.

Ricordo l’emozione di quel giorno, “Non ci credo che scalerò una montagna”, continuavo a ripetermi e per quanto mi sembrasse tutto irreale, al solo pensiero mi si infuocava il corpo e mi ribolliva il sangue. Insomma, avete capito cosa intendo, vero? 

La falesia di Pasturo si trova così: arrivando da Lecco, appena oltre il ponte della Chiusa sul Pioverna, si deve girare a destra, seguendo una strada che passa a lato del Sasso, ben visibile dalla Provinciale. Vista da vicino, la parete è davvero imponente, erta verso il cielo; per scorgerene la cima dovetti inclinare indietro la testa al massimo e ancora non era abbastanza.

Quella grande roccia sembra un guardiano antico che vegliava tutta la zona. In effetti la Valsassina sembra protetta dai grandi custodi delle rocce dell’epoca glaciale, come mostra la meravigliosa visuale che parte dai colli di Balisio fino al Ballabio. 

 Mentre i ragazzi preparavano l’attrezzatura, io appoggiai la mano sulla parete rocciosa. Non avevo paura, anzi, ero serena e tranquilla, come se il semplice toccarla avesse smorzato quel fuoco che mi bruciava dentro. La sfida era finita ancor prima di iniziare, perché cambiai il mio approccio con quel grande guardiano e capii che non lo era mai stata: la prima scalata fu un assaggio di cosa i miei muscoli e la fermezza di concentrazione potessero fare.

I ragazzi mi fecero i complimenti perché riuscivo a salire agilmente, allo stesso modo in cui un gatto sale sopra un albero, senza trovare grandi difficoltà. Il mio corpo era tonico e muscoloso: sia le gambe che le braccia avevano subito un forte allenamento da quando avevo iniziato ad accudire i cavalli nelle scuderie (se non hai letto il racconto clicca qui). Il duro lavoro di quel periodo aveva forgiato il mio corpo e salire la falesia, almeno nel primo tratto, non lo trovai così difficoltoso.

La frequenza delle arrampicate mi aveva fatto acquisire una certa sicurezza e amavo sentire il contatto con la roccia. Il mio corpo stava ben vicino alla parete, la sua presenza si legava con la mia essenza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sentivo l’energia della montagna scorrermi nelle dita: più la parete era calda e più amavo quella sensazione. Eravamo una bella squadra!                                                                                                                                        I mesi passavano e i nostri incontri ormai erano diventati una routine, tanto che i ragazzi decisero di aumentare il grado di difficoltà dell’arrampicata.

Mauro, che era il più esperto, saliva per primo, io sempre per seconda e Franco per terzo, chiudendo la salita. Eravamo così in sintonia che quel giorno decidemmo di fare il secondo tiro di cordata verso la “via del Carabiniere” con difficoltà 6a, sulla roccia Pala Condor. (6a: Difficoltà alpinistica molto sostenuta, sia su roccia che su ghiaccio). Non ero un’esperta, ma loro dissero che potevo farcela io ci credetti, così andammo per il secondo tiro. 

Ricordo bene quel giorno, il sole era caldo e la parete aveva iniziato a scaldarsi troppo per i miei gusti; era estate, eravamo tutti molto sudati e quindi dovevamo continuare a riempirci le mani di magnesite per aumentare la presa sulla roccia. Ricordo che iniziarono a tremarmi i muscoli e mi dovetti fermare durante il mio passaggio; mi voltai per guardare il panorama meraviglioso, da lì si scorgeva una parte di Pasturo, variopinto con i suoi incantevoli colori.

Eravamo molto in alto e guardai giù, una mossa che avrei dovuto evitare. Non mi sentii più così sicura, l’energia della roccia era svanita nel fiato corto del mio respiro e la mia presa si era indebolita.                                                                                                   Le dita mi bruciavano dalla pressione, così come i muscoli delle gambe e delle braccia, la mente perse la centratura: sentii che la situazione mi stava sfuggendo di mano, nel vero senso della parola. I ragazzi iniziarono a darmi consigli ma io non li sentivo più.

C’era solo un gran silenzio intorno a me e tutto mi scivolò via.

Caddi nel vuoto, in un momento che mi parve interminabile, con la consapevolezza di aver lasciato la presa ma che avevo fatto di tutto per evitarlo. Soltanto una persona che arrampica può capire ciò che ho provato durante quella caduta ma vorrei tanto trasmetterlo anche a te, lettore.

Sbattei con la spalla sulla roccia sottostante, mentre sulla schiena presi un forte colpo dallo strattone dell’imbragatura, sorretta dalla corda.

Sentii male in varie parti del corpo ma almeno ero viva, appesa ad una fune nel vuoto. Iniziai a ridere e a gioire, l’adrenalina circolava in ogni angolo del mio corpo, tanto da farmi sembrare fuori di testa, data la mia reazione, ma i ragazzi non ridevano per nulla. 

Quando arrivai a terra, tremavo ancora per l’emozione e la paura di quell’attimo.

Avevo vissuto un’altra esperienza fantastica e sentivo che durante tutto quel momento incredibile non ero mai rimasta sola: la mia anima era in pace, non era il mio momento di morire, perché il mio Angelo era sempre stato presente e ora come allora lo sento accanto a me. 

La loro missione è quella di aiutarci nei momenti di bisogno: lasciati guidare, non chiudergli le porte contro, prenditi dei momenti per te e libera la tua mente, in modo che loro possano comunicare con te. Ricorda che nelle ferite dell’anima passa sempre la Luce.

Ti aspetto venerdì prossimo dove ti racconterò un’altro episodio che mi è accaduto, e come il mio Angelo è intervenuto ancora una volta.

In aggiunta, ti lascio il link per scaricare gratuitamente la guida al gioiello: al suo interno troverai anche un piccolo regalo a te dedicato, utilizzabile fino alla fine di marzo scarica guida

Un abbraccio…

Saphira.

 

Correzioni e proofreading

Angela Baldelli