IVARIA, NON ERA L’ORA DI MORIRE!

La passeggiata era stata davvero piacevole: Ivaria, la mia meravigliosa cavalla Olandese, si era comportata molto bene – come sempre – e mancavano pochi chilometri alle scuderie. Dovevamo solo attraversare l’ultimo tragitto, il più difficile, e saremmo arrivate ma alle scuderie non ci arrivammo.

Il sole emanava un piacevole tepore ma il ghiaccio non si era ancora sciolto. Occorreva stare all’erta su dove mettere i piedi. 

Eravamo un gruppo di cavallerizze che amavano l’avventura e non appena riuscivamo ad organizzarci, uscivamo in passeggiata con i nostri fedelissimi amici.

Ivaria era pronta, vestita ad hoc con tutte le protezione; a differenze delle altre non aveva i ramponi ma io sarei stata attenta.

Il bosco si stava risvegliando da un lungo inverno e il ghiaccio si stava sciogliendo velocemente sotto il sole primaverile, l’erba nei prati dominava la visuale e le cime delle montagne erano ancora tutte innevate. 

La Valsassina è un posto davvero magico, fresco durante l’estate e freddo secco durante l’inverno, le sue montagne avvolgono tutta la valle in un’energia magica. 

La passeggiata era già durata molto ed era ora di rientrare: non avevamo cavalcato per il rischio del ghiaccio e tutto si era svolto in modo sereno e rilassato, anche i cavalli stavano bene e percepivano la nostra tranquillità.

Arrivammo al punto più impervio nel rientro per le scuderie, un piccolo passaggio molto stretto: da una parte si trovava la montagna e dall’altra una rupe con delle grandi piante, che la facevano sembrare meno pericolosa. 

Purtroppo in quel punto non arrivava mai il sole, quindi ci ritrovammo di fronte ad una grande lastra di ghiaccio, ed io ero senza raponi. Era un bel problema, sì, ma potevamo farcela.

Proseguimmo in fila indiana, io ero la seconda, e Ivaria non aveva paura di nulla, si era sempre fidata di me e io di lei. Lei mi sentiva sicura in sella e le mie gambe le facevano sentire che ero presente, così come le mie mani salde e forti mentre stringevo le redini con il massimo rispetto che un cavaliere ha sempre per il suo destriero.

Il cavallo davanti a me si bloccò in un punto in cui non avrebbe mai dovuto fermarsi: per me fu il panico, ma dovevamo stare calme.

La ragazza in sella al cavallo non aveva più potere su di lui, l’animale aveva perso la fiducia e non si voleva muovere. Eravamo bloccate.

I minuti sembravano non passare più e la situazione peggiorava di secondo in secondo: la ragazza iniziò ad andare in panico e io non esitai oltre, dovevo superarla e andare in testa alla fila.

Le altre ragazze mi urlarono di non farlo ma ormai mi stavo già muovendo, e Ivaria con me.

Fu un gesto fatto d’impulso, un gesto che non avrei mai dovuto fare, soprattutto in quella situazione. 

Appena affiancai il suo cavallo, con lo sguardo guardai verso il dirupo alla mia sinistra e improvvisamente sentii il posteriore sinistro di Ivaria scivolare, portando il mio peso in giù, verso il basso… inutile combattere contro la legge di gravità.

Capii troppo tardi l’enorme sbaglio che avevo commesso e in un attimo vidi le ragazze poco a poco sempre più lontane: io e Ivaria stavamo cadendo.

Non sentii nessun rumore, nessun tonfo, ricordo il continuo rotolare come in una centrifuga, non provavo nemmeno dolore. Il mio pensiero era costantemente rivolto a Lei, che cosa avevo fatto?

Improvvisamente il mio cuore si fermò e io sentii una grande pace: non avevo più paura, sapevo che tutto sarebbe andato bene. 

Non mi resi conto di quanto tempo ci impiegammo, fino a che il nostro centrifugare non si placò. Tutto era silenzioso. Aprii gli occhi e udii il richiamo del mio cavallo, mi alzai in piedi e guardai in alto. In cima al dirupo, le ragazze urlavano ma non riuscivo a sentirle. Muovevano le braccia, vedevo che erano agiate, chissà perchè?

Io ero calma e tranquilla, Ivaria era poco distante da me, sembrava stare bene, era in piedi e non le era successo nulla: il mio cuore era in pace.

Potete immaginare cosa successe dopo: arrivarono i soccorsi e portarono in salvo entrambe, passando dalla parte inferiore del pendio.  Erano sempre tutti così agitati…

Stavamo bene, non ci eravamo fatte neppure un graffio. Ma cosa era successo?

Le ragazze ci raggiunsero e ci vennero incontro piangendo, urlando e strattonandomi ma io non riuscii a fare altro che guardarle attonita, poi mi raccontarono l’accaduto. 

Durante la caduta, Ivaria e io incominciammo a rotolare una sopra all’altra: lei con i suoi zoccoli avrebbe potuto spezzarmi le ossa come fossero grissini, eppure non mi resi conto di nulla. Rotolammo fino in fondo al dirupo senza mai scontrarci contro un albero, altrimenti una delle due si sarebbe fatta delle ferite mortali. Le ragazze continuavano ad urlare che era successo un miracolo e che noi eravamo delle Miracolate:  in quell’esatto momento tornai a sentire quella pace che mi aveva riempito il cuore durante la caduta. In quegli indimenticabili istanti, non siamo mai state sole, Loro ci stavano proteggendo ed è grazie a loro che non abbiamo riportato ferite, solo Ivaria ebbe un piccolo graffio sulla coscia ma nulla di più.

Nei giorni successivi, quella caduta mi fece riflettere molto, non solo sul fatto di essere state protette, ma anche sulla decisione irrazionale che avevo preso, come se per un attimo avessi perso il mio equilibrio mentale. Mi ripromisi che una cosa così, in un momento difficile come quello, non l’avrei fatta mai più: non ero da sola, eravamo un team e avrei dovuto confrontarmi con le mie compagne.

Ora indosso il mio Medaglione , l’Unione perfetta che regola il cerchio della Vita, l’equilibrio del nostro corpo, dei nostri centri e dei nostri canali. 

Ti aspetto venerdì prossimo dove ti racconterò ancora una volta di Ivaria, il mio fedele cavallo, e anche il quel momento non era giunta la nostra ora ma per lei fu l’ultima volta….

Un abbraccio…

Saphira.

 

Correzioni e proofreading

Angela Baldelli