Sono passati trent’anni e ancora oggi mi faccio la stessa domanda: se avessi detto NO, saresti ancora viva?
Era una bellissima giornata di sole, il calore dei raggi era tiepido e giocare a pallavolo sulla spiaggia era un divertimento assoluto. Lo ricordo come fosse oggi, eravamo a Bellano, un paese adorabile sull’alto Lario.
Durante la fine dell’estate ci andavo spesso con la nostra compagnia di amici, chi in motorino, chi in auto o in corriera. Per arrivarci attraversavamo un tratto di montagna dove la strada era a strapiombo sul Pioverna, un tratto impegnativo per le auto, figuriamoci per il pullman. La sensazione di finirci dentro aleggiava per tutto il tragitto, fino a quando la visuale si apriva su quel lago meraviglioso.
Ricordo la gioia di percorrere quel tragitto, sembrava non finire mai. Tina era con me sul Pullman, sorridente e gioiosa, il suo sorriso era contagioso: era una donna bellissima con gli occhi color nocciola e quel taglio di capelli sbarazzino che la rendevano misteriosa e interessante.
Ero la più piccola del gruppo, mi piaceva molto stare con i più grandi; lei era la mia Musa, le stavo sempre accanto, ammiravo il suo modo di parlare chiaro e deciso, sembrava tanto forte, ma poi mi accorsi che non lo era per nulla…
Allora non capivo capivo contro quali mostri stava combattendo, cosa sentiva dentro, era molto riservata, non parlava mai di se. Spesso la osservavo cercando di leggerla dentro ma il suo scudo era sempre alzato e nessuno passava oltre. Avrei voluto avere una bacchetta magica e salvarla da tutto ciò che la faceva soffrire ma non riuscì neppure ad evitare l’inevitabile…
Arrivammo a Bellano, la spiaggia ci aspettava: io indossavo dei pantaloncini corti fino al ginocchio con su disegnato Paperino, li adoravo e anche le ragazze mi avevano fatto i complimenti per quanto fossero originali.
Avevamo messo i teli sulla sabbia, uno accanto all’altro; io naturalmente misi il mio attaccato a quello di Tina e in coppia con lei giocammo a pallavolo fino a quando non fummo sfinite. Poi mi sdraiai sul telo e Tina, invece di sdraiarsi con me, mi chiese di indossare i miei pantaloncini per provarli.
Aveva passato gli ultimi mesi lontano da casa e tutti sapevamo contro cosa stesse lottando: per questo eravamo diventati i suoi protettori, sempre attenti a cosa facesse e, proprio per questo, quando si allontanava, era sempre accompagnata. Cercavamo di non lasciarla mai sola e infatti le cose stavano andando davvero bene, eravamo felici che lei fosse tornata con noi.
I pantaloncini le stavano davvero bene, un pochino grandi (non avevamo la stessa taglia), lei era più grande di me e longilinea, mentre io ero più bassa e paffutella.
Avevo appena finito di farle i complimenti, quando la vidi prendere di corsa la maglietta e qualche cosa dalla borsa; mentre si allontanava mi sorrise e mi disse che sarebbe tornata subito, chiedendomi di non preoccuparmi.
Non mi diede neppure il tempo di alzarmi per vestirmi e stare con lei. Urlai da lontano la frase sciocca che una mamma dice alla figlia:
“Tina mi raccomando eh, non facciamo cazzate!”.
La sua risposta fu che dovevo stare tranquilla… ma tranquilla non restai per nulla. I ragazzi mi chiesero di lei e di dove fosse andata, e io spiegai ciò che era successo, ma la sua “fuga” mi aveva messo ansia… Iniziammo ad agitarci e tutti mi dissero che non avrei dovuto lasciarla andare; quelle parole ancora risuonano nella mia testa dopo trent’anni…
Quando Tina tornò sembrava tranquilla e serena, la sua ansia era sparita e i nostri sguardi su di lei cercavano di capire cosa avesse potuto fare di irreparabile. Ma così non fù: tutto sembrava normale, ma normale non lo era per niente….
Quel momento di spensieratezza e risa fù l’ultimo: la mia musa era crollata e la sua fragilità l’aveva fatta fuggire verso un gesto inconsulto che aveva chiuso per sempre i nostri cuori.
Se avessi detto: “NO tu non vai, stai qui!”, oppure se l’avessi seguita e le fossi stata accanto forse lei sarebbe stata ancora qua e avremmo continuato a proteggerla. Quanti se.
Credo che porterò sempre con me questo pesante dubbio: se avessi avuto il mio ciondolo avrei avuto la forza di fermarla?
Ho odiato quei pantaloncini con Paperino, li guardavo e vedevo Lei che si allontanava, li ho fatti a pezzi il giorno stesso del suo addio. Ormai avevo finito anche le lacrime; l’odio che provavo per alcune persone presenti al suo funerale l’ho tenuto vivo per molto tempo.
Da quel giorno tutto è cambiato: molti di noi hanno ritrovato la giusta via e preso consapevolezza per l’insegnamento che Lei ci ha dato, per quel colpo di frusta che ci ha segnato per sempre. Allora non la vedevo in questo modo, ma pochi mesi dopo me ne sono resa conto: il suo gesto è stato un segnale che ci ha permesso di vedere la vita in altro modo.
Cara Tina ti sento sempre accanto, e parlando di te manterremo sempre limpido il tuo ricordo, cosicché possa non svanire mai.
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